La catechesi al tempo del coronavirus: spunti di riflessione

Il tempo del Coronavirus non ha potuto fare a meno di rivolgerci delle domande.

Come per tutte le esperienze che si vivono, è giusto chiedersi: “Che cosa stiamo imparando? Che cosa vogliamo farcene di questo FATTO che può diventare un EVENTO significativo, se colto in tutta la sua capacità di interpellare e aprire dei sentieri nuovi?

Sicuramente un suggerimento forte l’ha dato, non solo alla Chiesa, ma alla Terra intera:  è ora di “fermarsi” per chiederci cosa stiamo costruendo e dove stiamo andando, e soprattutto ricominciare a dare qualità e profondità a ciò che “siamo”, prima di venire nuovamente travolti da un efficientismo e un modo di FARE che, come una macchina sempre attiva e rumorosa, sottrae al cuore e all’intelligenza il desiderio di capire con sincerità. Ma è la comprensione che CI RENDE UMANI, e se torniamo a essere umani saremo anche più cristiani, secondo quella Parola che ci dice che la vita è un processo di crescita, dove chi si fida e crede in Dio non  torna mai indietro,  ma “esce dalla sua terra” (cfr. Gen 12, 1) e ricomincia a vivere, diversamente.

Vorremmo sintetizzare in tre verbi un “tappeto armonico” a partire dal quale si potrebbe impostare una modulazione di base per il lavoro di annuncio e catechesi, certi che non ci sia nulla da inventare, ma eventualmente da riscoprire:

 

ORIENTARSI : Il Vangelo e la sequela di Gesù partono da una domanda rivolta ai discepoli: “Che cercate?” (cfr. Gv 1, 38).  Senza questa domanda non c’è cammino, perché non c’è orientamento, non c’è polo attrattivo. Se l’ASCOLTO  e il  FARE non sono profondamente connessi, il Vangelo misconosce come “operatori di iniquità” coloro che compiono “gesti religiosi” senza l’anima di un percorso  voluto e vissuto (cfr. Mt 7, 21- 27). Come ci interpellano tutte quelle pratiche esteriori e religiose che cercano maggiormente i “numeri” che non la qualità di “relazioni personali” con il Padre e tra i fratelli?

VIVERE IL TEMPO: Ci si lamenta sempre che il tempo sia troppo poco, e poi, quando non si è impegnati, si vive l’angoscia, perché non si sa cosa fare, e si usano espressioni terribili come: “faccio qualcosa per ammazzare il tempo”. Il problema però non dovrebbe essere “il tempo che passa” – da negare con mille cosmetici e imbellettamenti pseudo estetici – bensì “COME PASSARE NEL TEMPO”. Il recupero del senso della ferialità e della festività, alla scuola liturgico-catechistica dei sacramenti e della parola,  sono elementi da recuperare in tutta la loro profondità e capacità di accompagnamento di un “senso” e di una “destinazione”, con un contenuto in grado di dare spessore alla quotidianità – così spesso poco “animata” – della nostra vita che definiamo … cristiana.

RISCOPRIRE : “Bellezza ANTICA sempre NUOVA!” (Agostino, Confessioni 10.27). Non può non venirci in mente la bella frase di Agostino,   certi che ci sia già tutto a disposizione. Non ci sono delle cose da re-inventare e rimodulare all’infinito,  ma soprattutto l’esigenza di ridare spazio alla nostra consapevolezza umana e di discepoli, affinché diventi sempre più uno spazio per lasciarsi sorprendere da un Dio che non lascia mai indifferenti i cuori attenti e in ricerca.